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Brexit, l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea non sarà indolore: ecco perché

 

 – di Francesca Bedetti – 

Dal 23 giugno 2016, data del fantomatico referendum che ha registrato la vittoria del Leave, ovvero di coloro che volevano l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, il termine Brexit ha quotidianamente occupato le prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Dopo le recenti elezioni politiche tenutesi oltremanica, che hanno visto la schiacciante vittoria del conservatore ed euroscettico Boris Johnson, pare di essere giunti all’epilogo.

Il 31 gennaio di quest’anno si verificherà l’uscita formale del Regno Unito dall’UE (in concomitanza con l’inizio di un periodo di transizione volto a trovare un’intesa commerciale con l’Unione). 

Francesca Bedetti

Francesca Bedetti

Sebbene il voto aggregato abbia registrato la vittoria del fronte Leave con una percentuale vicina al 52%, è importante analizzare la composizione del voto per comprendere le motivazioni che hanno portato alla Brexit. Geograficamente, Galles e Inghilterra si sono schierati per l’uscita mentre Scozia e Irlanda del Nord hanno fatto registrare due vittorie importanti per il fronte Remain (rimanere nell’UE) rispettivamente con il 56% e il 62% dei voti.

Questo risultato non è avulso dalle conseguenze politiche che sono poi emerse: infatti, la leader del partito nazionale scozzese Nicola Sturgeon ha richiesto a gran voce un nuovo referendum per l’indipendenza della Scozia, mentre qualcuno ipotizza una nuova unione tra le due Irlande. Da un punto di vista della composizione sociale, le differenze maggiori emergono a livello generazionale e occupazionale. L’opzione di uscita vince tra gli ultracinquantenni e soprattutto tra gli ultrasessantacinquenni (60%); al contrario i pro-Remain sono quasi il 75% tra gli under 25 e oltre il 62% tra gli under 35.

Scelgono di uscire la maggioranza di pensionati, casalinghe e disoccupati; mentre fra gli studenti e gli occupati primeggia il Remain, il ché sottolinea la vittoria marcata degli europeisti nella circoscrizione di Londra. Il punto cardine su cui si è giocata la campagna elettorale che ha condotto al referendum è senza dubbio il nazionalismo che è, naturalmente, legato strettamente al tema dell’immigrazione: se da un lato fanno parte dello schieramento nettissimo per il Remain coloro che si definiscono etnicamente neri, asiatici, o comunque non bianchi, dall’altro i sostenitori del Leave individuano come tre temi determinanti i controlli alla frontiera, il sistema dell’immigrazione, e l’abilità di determinare le leggi nazionali. 

A seguito dei recenti sviluppi, appare necessario valutare i possibili esiti presenti e futuri della Brexit. Le conseguenze più immediate riguardano il campo finanziario: il giorno successivo al referendum è rimasto nella storia come un giorno nero per le borse mondiali che hanno perso 2,000 miliardi di dollari. Gli investitori, infatti, sono stati colti di sorpresa dopo che nei giorni precedenti al referendum, seguendo le quote dei bookmakers che davano in vantaggio la vittoria del Remain, si erano spinti verso l’acquisto di titoli rischiosi. Dopo il verificarsi della Brexit, la retromarcia è stata immediata e gli investimenti sono virati verso i beni rifugio e i titoli di Stato statunitensi, a testimonianza dell’elevata incertezza percepita dal mercato. La sterlina è crollata dell’11% nei confronti del dollaro, toccando il punto più basso dal 1985. In quel venerdì nero, la Borsa italiana ha registrato il crollo più drammatico tra le borse europee (12.29%) perdendo 61 miliardi, in linea con il resto del mercato azionario mondiale che ha toccato i minimi dal 2011.

Nonostante il tempestivo intervento per fornire la liquidità necessaria al sistema bancario da parte della Banca Centrale Europea e di Bank of England, il sentiment dei mercati mostra ancora oggi elevati tassi di incertezza e volatilità specialmente dopo l’abbassamento del rating del Regno Unito passato da AAA ad AA. Da un punto di vista economico, Bank of England ha provveduto ad abbassare i tassi in risposta ad una potenziale recessione, la quale sembrava probabile a seguito della vittoria del fronte per l’uscita dall’UE; il punto più controverso era ed è ancora oggi quello che riguarda i rapporti commerciali e che quindi preoccupa maggiormente le imprese britanniche (e non solo). 

Le conseguenze politiche, economiche e finanziarie si paleseranno con maggiore chiarezza dopo l’uscita ufficiale del Regno Unito e la loro severità varierà a seconda delle reazioni dei mercati e delle autorità internazionali. Molto più tangibili, invece, saranno gli effetti per i cittadini provenienti da altri Paesi UE ed extra-UE che vivono oltremanica e per i turisti. Coloro che vivono nel Regno Unito da oltre 5 anni potranno richiedere entro dicembre 2020 un permesso di soggiorno permanente, mentre chi è residente da meno di 5 anni potrà solo richiedere un permesso temporaneo con una validità quinquennale.

Secondo la linea dura adottata da Johnson, i cittadini europei che non si metteranno in regola verranno espulsi. Anche per i turisti le regole diventano più rigide: dal primo gennaio 2021 sarà infatti necessario il passaporto biometrico e un visto elettronico che avrà una durata massima di tre mesi; per permanenze maggiori sarà necessaria la richiesta di permesso lavorativo. A seguito dell’uniformazione delle regole sull’immigrazione, chi vorrà trasferirsi nel Regno Unito dovrà dimostrare di aver ottenuto un lavoro e ogni cittadino europeo dovrà versare una quota di 625 sterline al Servizio Sanitario Nazionale.

Dopo tre anni e mezzo, due rinvii e le dimissioni di Cameron e May sembra chiaro che la Brexit abbia, da un lato, agevolato l’ascesa di partiti nazionalisti e spesso di estrema destra nell’Europa continentale che hanno preso vigore grazie al significato stesso di Brexit; dall’altro, che renderà la Gran Bretagna decisamente più povera per le modifiche alla struttura commerciale e perché i mercati la percepiranno sempre più sola in un mondo di giganti. 

  

Francesca Bedetti ha 21 anni e studia Economia, Mercati e Istituzioni all’Università di Bologna; da sempre è molto interessata agli eventi politici e socio-economici che modellano il panorama internazionale.