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Il dono della scrittura ‘visto’ attraverso gli occhi dei filosofi

di Maria Soranidis

Nel dialogo platonico Fedro, ancora una volta l’autore si rivolge a un mito per giustificare una delle invenzioni che ha cambiato, in maniera irreversibile, il modo di vivere dell’umanità: la scrittura.

Quando Socrate propone il racconto del “dono” della scrittura, che il dio egiziano Theuth aveva fatto agli uomini, in esso non c’è soltanto una spiegazione mitologica, ma anche una valutazione riguardo l’utilità e il danno che questa nuova tecnica produce su chi la utilizza.

La scrittura viene considerata, infatti, ambivalente; come ambivalente è il termine con il quale viene connotata la nuova invenzione: “farmaco”.

Maria Soranidis

Maria Soranidis

Questa parola, in greco antico (pharmakon), aveva due significati opposti: medicina e veleno. E, nel dialogo platonico, si confrontano le due posizioni che la vedono, positivamente, come strumento per aumentare la capacità mnemonica e la “sapienza” e, negativamente, come portatrice di oblio e di confusione tra le conoscenze che provengono dall’interiorità e quelle che, tramite i segni, ci giungono dall’esterno.

È interessante notare che, nel confronto dei due punti di vista, la scrittura continua a essere interpretata con significati che sono l’uno il contrario dell’altro. Mentre viene presentata come un aiuto per la memoria, si paventa che il suo uso porti all’oblio; mentre viene esaltata la possibilità di diffondere “sapienza”, si indica il rischio di scambiare la conoscenza autentica con quella cristallizzata e immobilizzata nei segni scritti.

E a questo punto, Platone pone una vera e propria questione pedagogica perché tra le criticità della scrittura viene annoverato anche il pericolo che essa porti ad avere molte notizie e nozioni, senza insegnamento.

Queste informazioni, però, non sarebbero altro che i simulacri della vera conoscenza che, di conseguenza, rischierebbe di non essere più perseguita e riconosciuta. L’insegnamento vero si può avere, quindi, soltanto quando è veicolato attraverso rapporti interumani tra due o più persone.

Il rapporto con la scrittura e con il libro può motivarlo, può stimolare curiosità e interessi, ma non può sostituire, né supplire l’incontro e il dialogo. È appena il caso di notare che le conseguenze inaspettate delle invenzioni tecnologiche e i tentativi di sostituire l’imprescindibile contatto interpersonale nei processi di insegnamento/apprendimento sono questioni ancora vive e attuali.

Maria Soranidis è laureata in Scienze dell’Educazione presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Perugia.