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Montescudo, Michele Tempesta e il Rinascimento che risplende nei colori delle terre pittoriche

di Marco Valeriani

Nei lavori di Michele Tempesta si colgono due aspetti in particolare. Il primo è legato alla “muscolarità” dei soggetti. Muscolarità non sempre intesa come espressione della potenza fisica ma quale dettaglio quasi maniacale nel seguire le fasce muscolari dei volti e dei corpi. Ciò presuppone – lo conferma lui stesso – uno studio attento e minuzioso dei capisaldi correlati alla pittura riascimentale.

Il secondo aspetto, per chi osserva dall’esterno, è in apparenza l’antitesi del primo: vale a dire la morbidezza delle linee femminili così da anteporre una ricerca della sensualità in figure sostanzialmente caste e d’estrema pudicizia. L’influenza dei Maestri toscani è palpabile. Ma non si tratta di fedele ricongiumento ad essi, piuttosto un’esplorazione ulteriore rispetto a ciò che è stato e che, comunque, ancora oggi ‘detta’ regole pressoché universali.

Anche le tecniche e i colori giocano nell’insieme a produrre una simmetria concettuale di cui è difficile sbarazzarsi, contribuendo ad elevare ancora di più gli sforzi dell’artista: un autodidatta dotato di ottime capacità d’esecuzione e particolari sensibilità culturali.

“Sono nato a Livorno il 2 febbraio 1963. Mi sono trasferito in Romagna nel 2000 e dal 2007 vivo nel comune di Montescudo.

In gioventù ho frequentato corsi privati sia di disegno che di pittura ed ho affinato la mia formazione con il maestro Andrea Pucci ma fondamentalmente mi considero un autodidatta. L’ambiente livornese ha certamente influenzato la passione per la pittura ed anche in casa mia sia mio padre Umberto che mio nonno Piero erano pittori, seppur a livello amatoriale. L’ambiente artistico toscano ha inciso fortemente sul mio indirizzo pittorico. Pur apprezzando stili di pittura contemporanei, ho sempre avuto un’impostazione molto classica.

Fin dai primi approcci mi sono concentrato sui dipinti ma soprattutto sul disegno rinascimentale. Sullo studio delle anatomie michelangiolesche, dei panneggi di Leonardo e di tutti i grandi maestri dal Carraccio, al Pontormo a Raffaello. Del Rinascimento ho sempre apprezzato anche la pratica artigianale che contraddistingueva il lavoro della pittura. Le botteghe rinascimentali erano comunità di creatività e innovazione, dove si imparava  la creazione dei colori e la costruzione dei supporti. Questo aspetto ha inciso molto sulla mia tecnica e fin dall’inizio mi sono preoccupato non solo di curare il lato tecnico del disegno e della pittura ma anche di costruire i supporti sui quali dipingere.

Lavoro prevalentemente con una tecnica affinata negli anni, usando come supporto tavole di legno sulle quali applico diverse stesure di intonaco sia grezzo sia setacciato e gesso da muratura. In pratica creo un vero e proprio pezzo di muro sul quale poi dipingo sia a secco sia con la tecnica dell’affresco. I colori che uso sono le terre: la terra di Siena bruciata e quella naturale, la terra d’ombra, l’ocra gialla e rossa. Ho imparato dai maestri che non usavano il nero ma la Terra di Cassel (meglio conosciuta come Bruno van Dyck).

La pittura come…

Per me la pittura è una dimensione in cui il lavoro fisico e materico stanno sullo stesso piano della concezione mentale e dell’ispirazione. Una metafora dell’essere umano che non può essere o solo carne o solo pensiero ma che è completo in presenza di tutte e due gli aspetti. Per questo motivo non ho mai chiamato i miei quadri “opere” ma semplicemente “lavori”, sperando che rispecchino almeno un po’ lo spirito rinascimentale.

Nelle nostre case è sempre più difficile trovare opere di pittori e artisti considerati tali. Si preferisce far largo ricorso a stampe e ‘creazioni’ a volta dozzinali. Che ne pensa?

Viviamo un periodo in cui l’industrializzazione ha invaso ogni aspetto della produzione. Abbiamo perso le nostre radici fatte di artigiani che sapientemente ereditavano e trasmettevano le loro conoscenze. le botteghe  e i mestieri, sono stati sostituiti da immense catene di produzione. Per questo, credo che in generale si debba guardare al passato con l’intento di recuperare una dimensione più umana, più legata al recupero e trasmissione della cultura. In Italia le radici non mancano ma siamo anche il paese dove più di tutti si sostituiscono bellissime parole italiane con termini inglesi.

Qual è l’elemento essenziale per avvicinarsi in modo corretto alla pittura?

Credo che la pittura abbia bisogno soprattutto di pazienza e poi di cura e attenzione per i piccoli dettagli che fanno la differenza. Mi è capitato molte volte di intervenire su un quadro anche a distanza di anni, per il semplice motivo che mancava un qualcosa che lo rendesse “tutto a posto”, come diceva Cézanne. Sotto la superficie di molti dei miei lavori ce ne sono altri che non mi piacevano e così li ho cancellati. Non pubblico tutto quello che faccio, sono molto selettivo e mi critico continuamente.

Michele Tempesta ha esposto in diverse occasioni sia in mostre personali che in eventi collettivi, in Toscana, in Emilia Romagna (Livorno, Grosseto, Firenze, Bologna, Ferrara. A Rimini e provincia, Morciano – Sant’Agata Feltria – Montefiore – Verucchio). Ha partecipato ad altre collettive in diverse regioni italiane tra cui Marche – Umbria – Campania. 

Per contatti 

https://www.facebook.com/artemicheletempesta